mercoledì 11 aprile 2012

Tre giorni a Istanbul non bastano

No, proprio non bastano per capire la città. Non bastano nemmeno per imparare a dire "grazie" nel modo corretto, ma sono sufficienti per assaggiarla, captarne gli odori (per nulla invasivi) e per rifarsi gli occhi e il palato. Ed è quello che ho fatto durante la Pasqua: ho provato a capire. Ho vagato per il Corno d'Oro, per la Città Nuova e per la parte Asiatica, ho cenato su alcune delle centinaia di terrazze da cui si possono ammirare i minareti e su un'isola nel mezzo del Bosforo con enormi navi cargo e flotte da guerra che mi passavano affianco. 

Ho contrattato senza troppo successo al Gran Bazaar e anche coi tassisti, poco da fare; ho comprato dei fiori di Jasmina al mercato delle spezie e ho bevuto tè turco dopo un hammam fantastico, in un quartiere pieno di gatti. Ho visto, grazie a un amico di Istanbul, un vero mercato della domenica e poi sono entrato in una moschea. Una moschea che ti avvicinava a Dio o ad Allah, chiamatelo come vi pare, ma poi ti riportava a terra, dove c'era una gran puzza di piedi stanchi e sudati di turisti e avventori. 

Un bellissimo tramonto dal ponte di Galata.

Ho poi visto da vicino alcune delle reliquie più sacre, come il turbante di Abramo, il bastone di Mosè, il mantello e la barba (...) di Maometto, le chiavi della sacra Kabba alla Mecca e il braccio del profeta Giovanni (il Battista). Ho visto la Basilica Cisterna di Giustiniano, un'immensa sala sotterranea con 336 colonne e poi, alla fine, un orrendo bar che vendeva caffè italiano e spremute d'arancia senza grazia alcuna. 

Ho imparato che come al solito ci sono dei miti da sfatare e che infatti in Turchia è vietato fumare praticamente in tutti i luoghi chiusi, che i bagni non sono poi così male, che il massaggio e lo scrub nell'hammam sono sì fatti da enormi uomini baffuti e con la panza, ma che al mondo non c'è niente di più mascolino e che è un rito serissimo, se fatto nel posto giusto; ho poi avuto la conferma che i musulmani non sono tutti uguali e che a Istanbul, per esempio, a parte alcuni quartieri della zona asiatica, vige un vivi e lascia vivere che non abbiamo neanche in Italia. Ho apprezzato, infine, la pulizia e l'efficienza dei mezzi pubblici, che funzionano benissimo. Ah, poi ho scoperto che si dice Istànbul e non Istanbul (con l'accento sulla I) o peggio, Isambùl, come dice mio zio.    

E poi ho visto della gente, tanta gente interessante, sono riuscito a ritrarne qualcuno, di altri ho rubato frettolose immagini mosse e altri ancora non mi hanno permesso di fare foto, un gran peccato. 

Ecco alcuni scatti

(basta cliccare sulla prima foto, quella del Tony Manero turco e poi scorrere oppure andare giù con la pagina)